"Rinascimento Italia" vuole essere un barlume di riflessione sui fatti politici e sociali, in un periodo storico che vede l'Italia in grave difficoltà e smarrita nel contesto globalizzato di questa era.

mercoledì 30 luglio 2014

Renzi e la fine del sessantotto

Il renzismo spazza via il sessantottismo.
Molti hanno cercato di individuare quale sia la novità “storica” del “renzismo”, cioè quella maniera di procedere di Matteo Renzi.
 Il renzismo non è una ideologia, non è una corrrente intellettuale, non è una analisi storica. Il renzismo è innanzitutto un modo di fare guardando solo avanti. Un modo veloce che non cede più di tanto al compromesso in itinere ed a vetustà storiche che hanno fatto il loro tempo. Sicuramente spicciolo nella comunicazione e altrettanto spicciolo nel percorso, deciso  e fermo. In ciò ricorda i “futuristi” e mi scusino essi stessi da dove si trovano, da Giacomo Balla a Marinetti, e tutti coloro che ne apprezzano le arti e la modernità. Ma non siamo all’inizio del Novecento, ma cento anni dopo e qualcosa sarà pur cambiata in Italia. La politica stucchevole o paludosa si ripropone spesso nella vita storica delle nazioni e noi non abbiamo fatto eccezione dal sessant’otto in poi. In quei tempi  era importante “parlare” e poi ancora “parlare”, dibattere, era importante il dibattito, per arrivare all’analisi. Si l’analisi. Ma alla fine si finiva nel nulla. Dopo ore estenuanti di “partecipazione popolare” si arrivava ad una conclusione che veniva contestata da una parte di loro stessi e che quindi mancando della unanimità tra i “compagni” si finiva anche per litigare e dopo molte litigate a dissociarsi e a fondare gruppi e gruppuscoli “autonomi” che continuavano a dibattere e poi dibattere perché era importante “l’unità” e alla fine il documento di sintesi veniva contestato sempre da una parte e via, via e ancora via. Parole e fughe in avanti,  più a sinistra. Chi era più a sinistra era anche più “bravo ed evoluto politicamente”, ed allora chiacchiere e dibattiti. Dibattiti e contestazioni. Analisi intellettuali che parlavano di rivoluzione. Rivoluzione proletaria o del popolo. Cambiava il linguaggio, più esplicito nella volgarità, ma stava cambiando tutto e tutto si stava involgarendo. Libertà era intesa come “faccio quello che mi pare”. Quanti genitori si sono sentiti dire a muso duro questa frase dalle figlie o dai figli. Con loro non c’era dialogo. Sì non c’era dibattito, questa volta, ma solo imposizione di quella gioventù comunista che si riempiva la bocca con le parole democrazia  e antifascista. L’anatema era frequentissimo e l’accusa era quasi sempre d’essere un  fascista. Antesignani della “ Fatwa” dei tanti Muftì del tempo. Il passo verso l’estremismo era facile e dava un “senso alla vita”. E da qui, dall’estremismo, per essere ancora più di sinistra, al terrorismo il passo non fu mai lungo. Ma in realtà non era un percorso politico, era un gioco personale. La politica troppe volte era un pretesto per mettersi in luce, per essere noto, per essere visto e sentito e gratificato di applausi e commenti, per far colpo, per sentirsi col petto gonfio e più degli altri a sinistra o più maleducato o più violento era un vanto, qualcuno da imitare, una figura messianica da seguire. Quello lì spezza l’educazione borghese, quell’altro è un vero rivoluzionario. Se lui è un leninista, allora, l’altro sarà uno stalinista, ma l’altro ancora, che lo vuole fregare nella gara a chi è pi rivoluzionario, un autentico comunista, si dichiarerà un troskista. Allora che si fa, come si può essere, forse più a sinistra del  troskista. Ecco, si è dei castristi. Perfetta sintesi di rivoluzionario e comunismo ortodosso. Ma si può fregarlo perché noi si è maoisti. Ma come si possono fregare questi ultimi….ah ecco noi siamo il vertice, la crème de la crème siamo “brigatisti”. Allora sono spuntate le Brigate Rosse con le loro analisi, l’organizzazione militare le azioni eclatanti, gli omicidi e le rivendicazioni con comunicati stampa con la stella a cinque punte in alto ed in mezzo. Tutto ciclostilato. Non si può entrare nelle BR….noi siamo noi. Alllora fondiamo i Nap, nuclei armati proletari. Ma noi siamo noi, non possiamo confonderci con gli altri. Allora nascono i Nuclei comunisti combattenti e così via. Il tempo trascorreva. Trascorreva così, tra morti di “servitori dello Stato”, fascista naturalmente,   assalti a banche per autofinanziarsi. Nel frattempo,i più piccoli,  le masse proletarie, organizzavano cortei, manifestazioni nelle quali lo scontro con la polizia non poteva mancare perché era lo scopo ed espropri proletari tra un diciotto politico ed esami di gruppo all’università. Tutto organizzato dai compagni. Organizzare il caos. E attraverso il Caos la presa del potere. Potere proletario, s’intende. Non uno qualunque. Potere comunista, per altri. Ma qual è la differenza tra “potere proletario e potere comunista”? E allora si dibatteva, si dibatteva, ma non si arrivava mai alla sintesi, ma l’analisi c’era. Ma a volte “la tua analisi è sbagliata, compagno”.
Il tempo passava. Passò anche per Aldo Moro. E piano piano verso il 1984 rivoluzione,  eversione e sovversione sparirono o quasi. Tutto fallì, ma non il sessantottismo che continuò ad imperversare in Italia e a devastarla. Anzi prese il potere. IL PCI, si trasformò in Pds per vergogna rispetto alla Storia che l’ha visto perdente. Il muro di Berlino che crolla nel 1989 sancisce la fine del comunismo e dei comunisti, ma non del sessantottismo…quello delle chiacchiere inconcludenti, delle invidie nella corsa al potere a costo di tutto anche di contraddirsi. Ciò  che veniva criticato alla vecchia DC veniva applicato dai politici del PDS e dei DS. Si incominciava a metà degli anni novanta a rivalutare certi partiti della prima repubblica. Quelli che governavano l’Italia di allora non erano all’altezza. Molte parole, nella sinistra, pochi fatti positivi, tantissimi quelli negativi. Ciò che non cambiava mai era il dibattito. Ciò che era sempre presente l’incapacità a spese dello Stato e l’inclinazione al compromesso più incredibile e dannoso. Chi in quegli anni ha bene impersonato tutto ciò è senza ombra di dubbio Massimo D’Alema e naturalmente il suo partito. Gente che è capace di perdere anche se gioca da solo. Il declino dell’Italia fu causato dalla loro imbecillità politica. Un partito che rimaneva ancorato ad una stagione della loro gioventù visto che adesso sono loro, ormai con i capelli bianchi, ad avere il potere nel partito e nella nazione quando vincono e poi perdono per la loro incapacità e fame. Un partito che politicamente definirei dei “fichi secchi”. Buoni a nulla se non a se stessi…come nel sessantotto. Si legano alla margherita, ex DC, per fondare un nuovo partito: il PD. Ma questo partito conserva ancora splendidi incapaci come D’Alema, Bersani, Veltroni ecc. la lista è troppo lunga.
Renzi ed il suo metodo veloce, del fare, del concretizzare il cambiamento con poche mosse spazza il sessantottismo in Italia.  Questa è la novità storica del renzismo: la fine del sessantottismo. Cioè quella maniera del fare e dell’ agire in politica che pone l’analisi e il dibattito permanente come sistema metodologico dell’inconcludenza.
Lo scontro di questo mese tra Renzi e Corradino Mineo, entrambi dello stesso partito, è uno scontro tra due mondi diversi. Mineo ha dentro di sé il ’68 nel metodo e nell’impostazione, Renzi non ce l’ha il ’68, non era nemmeno nato, è visibilmente diverso ed in contrasto netto.  Perderà Mineo perché non ha capito che la storia con Matteo Renzi ha voltato pagina e volume. Se si vuole un altro esempio significativo di ciò che vado affermando è la trattativa di Alitalia in vendita, parziale, alla compagnia araba di Ethiad. I sindacati di sinistra sbagliano. Stanno ripercorrendo la stessa strada che fino ad un recente passato ha funzionato ed ha affossato, per la parte di loro competenza l’Alitalia e l’Italia. Adesso è proprio la Storia che è cambiata. Vecchi metodi, ereditati dalle stagioni del ‘68 in poi non sono più proponibili e saranno perdenti. Uno schema ricopiato e riproposto per 45 anni. Non sono capaci di pensare diversamente,  per fare gli interessi dei lavoratori senza caricare i costi  sullo Stato . Hanno già perso, sono già fuori dal contesto salvo che non trovino un Renzi sindacalista per CGIL e UIL.  Proprio oggi, 30 luglio 2014, è uscito l’ultimo numero de L’Unità. Giornale di parte, del vecchio PCI col titolone a tutta pagina:”Hanno ucciso L’Unità”. Le pagine interne bianche, tranne la metà della seconda ove era stampato l’articolo del direttore che spiega perché il giornale chiude e quello di domani sarà l’ultimo numero . Accusa della crisi anche un certo “fuoco amico”. Probabilmente si riferisce a Renzi.
Si vorrebbe salvarlo con i soldi pubblici. Si vorrebbe farlo sopravvivere così come è sempre successo negli ultimi decenni , lo abbiamo sentito già stasera a Tg com 24 da parte di Sansonetti ex giornalista de L’Unità e sessantottino.  Questa volta è finita per sempre, i mostri sacri, gli  intoccabili del passato, forse anche glorioso, non ne esistono più per il renzismo.
Il PD di oggi incarna con Renzi una sinistra diversa, anzi che non era mai esistita. Forse blanda, ma ancora “popolare” in un mondo globalizzato, per certi e molti versi omologato, della finanza da squali, senza anima e umanità.